Un Céline da leggere


Ho terminato di leggere (o meglio rileggere dato che mi avvicinai ad esso tantissimi anni fa), nella nuova edizione uscita nel 2011 a ottanta anni dalla sua pubblicazione e a cinquanta dalla morte dell'autore, "Viaggio al termine della notte" di Luis-Fernand Céline. Dico francamente che Céline, dopo gli antipatici episodi di antisemitismo che gli costarono il carcere e l'esilio, non destava la mia simpatia e mi avvicinai al romanzo suo più famoso, con titubanza. Poi, nel leggerlo, capii che Céline era un anarchico "matto", come si dice a Lucca, intendendo per matto un uomo sempre sopra le righe, visionario, fuori dalla norma, dove la norma è la banale qualità quotidiana.
Dunque ho (ri)letto "Viaggio al termine della notte" e ho provato un autentico godimento. Sono quasi 600 pagine di testimonianza (il romanzo è autobiografico), di denuncia, di grida di rivolta contro un sistema ipocrita e violento, di polemica sociale che va pari passo con la polemica letteraria perché Céline non usa il francese accademico, perbenista e compiaciuto, ma il linguaggio parlato, diretto, non solo nei dialoghi ma nell'intera tessitura del racconto quasi a far risaltare il ricorso al linguaggio basso e colloquiale dei suoi reietti personaggi al cui livello volentieri si abbassa. Il suo linguaggio però acquista un'originalità stilistica che Céline difendeva strenuamente contro un editing che voleva togliergliela. E bene ha fatto il traduttore di riportare questa singolarità nell'edizione italiana con quelli che potrebbero considerarsi errori e che invece rappresentano anche loro, il sentimento del proibito con lo scardinamento che attua delle regole. Céline è un insoddisfatto, il suo uomo è spogliato di tutto, disincantato, deluso, ossessionato dal disfacimento, dal marciume, dalla putrefazione e dalla corruzione degli uomini. E' un pessimismo senza riscatto che l'autore affronta però anche con una vis comica notevole. E così ci porta con lui in guerra, nell'Africa coloniale, nella New York dalla folla incomprensibile, nella Parigi dei poveri con la sua miseria morale e materiale. Un romanzo dunque notevole, visionario quel tanto che necessita per affascinare. All'epoca dell'uscita, gli anni '30, fu uno scandalo ed è ben comprensibile la reazione dell'ambiente letterario e del pubblico. Ma è stato un successo mondiale. Ora, abituati ai Bukowski e, per quanto riguarda i derelitti, allo splendido "Suttree" di Cormac McCarthy, siamo abbastanza scafati da non gridare allo scandalo, ma ugualmente si rimane colpiti da un libro che, a distanza di tanto tempo, riesce a emozionarci come la prima volta.

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