Nel fiume in piena a nuoto, o meglio quasi... Baccelli come Grillo


Bisognava fare qualcosa di clamoroso soprattutto per spuntare le critiche che si facevano sempre più aspre dentro e fuori il partito, sulla questione di Lucca capoluogo. Bisognava compiere un'impresa che avesse qualcosa di valoroso, che gli altri comuni mortali non si azzardavano a fare. Fu così che una mattina, con i seguaci bardati di macchine fotografiche e di cineprese, tentò la parete del Pizzo d'Uccello. Ma una volta arrivato sotto lo strapiombo, decise che era meglio andare a farsi un panino e a bere un fiasco di quello buono nel rifugio lì, a due passi. No, non se la sentiva. Era meglio pensare a qualcos'altro. La gara degli aquiloni, era senz'altro meglio, se non altro più divertente e pittoresca. Ma non aveva figli per costruirne uno e lui da solo con carta e fili non aveva mai avuto il suo santo. La caccia alle farfalle?
Non era il periodo, bisognava aspettare la primavera. Ma qualcosa ci voleva subito pena la morte del mandato provinciale. Grillo aveva avuto un'ottima idea, quella dell'attraversamento dello stretto di Messina. Ma lui è genovese, è nato al mare, c'è abituato. Però, tutto sommato, anche il primo uomo della provincia da ragazzo andava sempre al fiume e si arrangiava come nuotatore. Detto fatto. Avrebbe disceso il fiume a nuoto da Castelnuovo a Lucca.  Così con il solito codazzo dei seguaci, si recò in Garfagnana col suo amico Andrea, ma subito notò che, causa i temporali, il fiume era grosso e scendeva a una velocità pazzesca. Bisogna provare più a valle. Fu così che chilometro per chilometro, si ritrovarono sotto ponte San Quirico. Che fare ora? Non si poteva deludere i fan venuti da tutta la città e dalle campagne limitrofe. Il fiume era così grosso che minacciava di tracimare. Come fare? Se si tuffava, la corrente l'avrebbe sbattuto come un fuscello. Così venne deciso di passargli una fune alla vita e anche sotto le ascelle e di sorreggerlo lungo il ponte con un argano scorrevole tenuto in funzione da tutta la giunta provinciale e dai fedelissimi, invero pochi, del partito. Fu così che, fra gli applausi di tutti gli innumerevoli presenti, il Nostro si immerse fino alla vita nel fiume e, con l'aiuto della corda che lo sorreggeva, con le gambe immerse nel vortice dell'acqua limacciosa, attraversò come Mosè le acque del Serchio. All'arrivo la folla gli si fece d'intorno e lo abbracciò e lo baciò. Si sentì dire: una grande impresa per un grande presidente. E giù applausi mentre in coro tutti si misero a gridare: "Grillo, boia, speriamo che tu muoia." E, su un motivo originale, si innalzò al cielo un canto che diceva: "Meno male che Stefano c'é".

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