Sarà
anche una storia vera, ma "The Wolf of Wall Street" sembra piuttosto
un gran polpettone hollywoodiano con tutti gli eccessi possibili e immaginabili.
Per metà film e oltre, non succede nulla all'infuori di urla strepitose che
inneggiano ai guadagni favolosi, agli sballi da cocaina e altra robaccia, alle
orge così frequenti da sembrare false, alle telefonate ai clienti cretini che
si fanno imbambolare, alla gioia dei numerosi broker che il pubblico si domanda
di come facciano a tenere le fila della società tanto sono cretini. Nella
seconda parte si tenta di smuovere la scena con i rapporti di Di Caprio, sempre
sopra le righe, con la seconda moglie che sembra una verginella a difesa della
bambina e invece lo incorna, invero meritatamente, con il banchiere svizzero.
La seconda parte il regista cerca di vivacizzarla con quattro indagini di un
onesto, che rimane povero, ispettore, con una tempesta in mare che fa
naufragare lo yacht, un salvataggio in elicottero, una collaborazione (leggi
tradimento) con la polizia che fa abbassare al protagonista gli anni di galera
e il finale con applauso a Di Caprio mentre tiene un corso per insegnare il
mestiere di broker. Ciò vuol dire certamente che in America tutto continua, purtroppo,
come prima, ma se Scorsese credeva di far odiare l'imbroglione protagonista non
c'è riuscito per niente. Anzi, come avviene con Berlusconi, il pubblico lo vede
con simpatia perché è uno che ha saputo crearsi una sua personale ricchezza. E
tutti i personaggi sono tratteggiati all'eccesso e superficialmente, Dove è
andato lo spirito caustico di Scorsese? Peccato. L'argomento era interessante
ma svolto tutto sopra le righe e il film
è una delusione. Forse se si dimezzava il tempo, che è di tre ore di noia, la
pellicola può darsi che scorresse meglio.
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