Un'inedita e alternativa autobiografia:
- Lo
sa per quale ragione l'ho convocata?
-
Non so. Per un gioco a premi?
-
No, per parlare di lei.
-
Di me?
-
Di lei e della sua vita.
-
Ma la mia vita è come quella degli altri.
-
No, non è vero. Nessuno è uguale.
-
Siamo tutti uomini e questo è quanto basta.
-
A me non basta.
-
Lei non si accontenta mai, non si sente mai appagato. Ma bando alle ciance,
cosa vuol sapere?
-
Tutto.
-
Tutto è anche niente.
-
Allora niente se lei è il niente. Il suo non è forse nichilismo?
- Non
cominciamo con il fare gli intellettuali. O meglio gli snob. La filosofia l'ho
smessa da tempo. Se fossi nichilista non gli avrei consegnato un album di foto
per farci su i soliti discorsi a bischero.
-
Bene bene. Lì c'è tutta la sua vita. Cominciamo a sfogliarlo.
-
La mia vita in un pacco di foto. Non è poco?
-
Quasi tutta. Crede di valere di più? Questa per esempio. Quando è stata
scattata, se lo ricorda?
- Certo
che me lo ricordo. Mi ricordo tutto di me stesso. Avrò avuto poco più di un
anno e avevo uno splendido boccolo, allora si chiamava così il ricciolo di
capelli, quello che poco dopo mi tagliai malamente. Ricordo perfettamente che
ero sul vasino a fare la cacca. Impugnai le forbici che mia madre aveva
inavvertitamente lasciato sul letto e zac, il bel boccolo sparì in un attimo
fra la disperazione di mia madre.
-
Lei era anche a quel tempo un guastatore.
-
Perché, lo sono anche oggi? E' un guastatore colui che dice pane al pane e vino
al vino? Può darsi, perché viviamo in un mondo dove l'ipocrisia impera. Allora
sono lieto di essere un guastatore.
-
E questa foto qui, con la fascetta al braccio e la medaglia, tutto leccato?
-
E' stata scattata sulle Mura il giorno della mia prima comunione. Me la fece
mio zio di La Spezia unico invitato e l'unico che possedeva una macchina
fotografica.
-
Non mi dica che è religioso....
-
No, sono un miscredente ma ero un bimbetto e non potevo decidere io la mia
posizione in merito alla religione. D'altra parte non è un'incongruenza, perché
i miei erano religiosi e io lo ero di conseguenza.
-
E questa qui col vestito a pagliaccetto?
-
Eravamo in campagna, da mia nonna, il giorno dell'arrivo, con i miei genitori,
i miei fratelli, la mia nonna. Si arrivava con una macchina di un amico di mio
padre che faceva il noleggiatore e l'autista, stracarica all'inverosimile. Ci
fermavamo qualche mese, fino all'inizio della scuola. Era la casa che sono
stato costretto a vendere quattro anni fa, con un dispiacere immenso, come mi
avessero tagliato un braccio.
-
Qua siamo ancora sulle Mura.
-
Sì, avevo 16 anni e forse indossavo i miei primi pantaloni lunghi. Perché
allora non si passava direttamente dal corto al lungo ma c'erano anni in cui si
era obbligati a indossare i pantaloni alla zuava, a quel tempo di moda.
-
E questa?
-
Eravamo sempre in campagna durante una gita, con mia sorella, mia cugina e un
amico. Le scampagnate erano il sale della nostra esistenza.
-
Qui però siamo al mare.
-
A Viareggio. Avevo conosciuto una ragazzina
che mi sembrava di amare. Ma tutto finì a ottobre all'inizio della
scuola.
-
A proposito di scuola. Qui c'è una foto di classe.
-
Sì. Probabilmente ero in terza superiore. La rivedo volentieri. E' possibile
che fossimo stati in classe così pochi? Una decina. Mettiamo che due o tre
fossero assenti, era una classe misera. Per quello ci interrogavano così
frequentemente! C'è anche un ragazzo di Bagni di Lucca, questo qui, che mi è
rimasto impresso per una storia in cui era stato direttamente coinvolto. Mi
raccontò che sua sorella si era messa con un altro mentre il fidanzato era
militare. Tornato dalla guerra questi volle spiegazioni e avutele, prese la
pistola e ammazzò la ragazza e subito si suicidò. Quello che mi colpì era
l'affermazione del mio amico che nella testa del suicida la pallottola aveva
fatto un buco piccolo con quasi niente perdita di sangue. Mi colpì, abituato
come ero alle scene cinematografiche che facevano vedere volentieri il sangue
anche se non come nei film odierni dove si abbonda sadicamente.
-
Non la facevo così sensibile.
-
Anche i guastatori hanno un cuore.
-
Qui è già grandicello. Che macchina era quella?
-
Siamo in Abruzzo, avevo meno di venti anni. Con la scusa di fare il viaggiatore
di commercio visitavo tutta Italia. Il viaggio è stato sempre uno dei miei
pallini. Quella era una Topolino vecchia, degli anni '30, il cosiddetto
"balestrino corto". Sono state esperienze meravigliose. Eravamo
praticamente nel dopoguerra e come ricordo, ad esempio, una Trieste non ancora
italiana ma protettorato americano dove con 150 lire si faceva un buon pranzo
al ristorante popolare, di contrapposto ho impresso nella mia mente la visione
di una Napoli povera ma stimolante, vitale, affascinante con la sua maniera di
vita autonoma e indipendente. Era una repubblica a parte.
-
Qui mi sembra sia a Napoli.
-
Sì, sono insieme a una puttanella che mi fece compagnia per tutta la domenica.
Volle stare con me con disappunto del mio amico. Aveva ragione e fu da parte
mia una stronzata, lo riconosco.
-
Ma il tempo dell'amore per l'arte quando comincia?
-
Prima c'è stato l'amore per cinema. Quello è stato precoce. Iniziò giusto al
tempo delle foto della prima comunione, quando per Befana mio padre non fece in
tempo a comprarmi un proiettore, che ho sempre fra l'altro, a manovella, a 35
mm. Piansi tutta la notte. Allora mio padre fu costretto, nella mattina della
festa, a far aprire il negozio al proprietario per comprarlo. C'era compreso un
breve documentario fatto di scarti, che faceva vedere la visita del duce a
Lucca.
-
Ma l'interesse critico venne dopo. Vedo qui una foto sua con in mano la rivista
"Cinema".
-
Sì, ovviamente quell'interesse venne sui 16 anni quando cominciai a comprare
"Cinema" di Aristarco e poi a frequentare il Circolo del Cinema di
cui oggi sono, purtroppo il decano.
-
Perché purtroppo?
-
Perché ti qualifica come vecchio e io odio profondamente la vecchiaia.
-
Passiamo alla seconda passione, l'arte. Questa foto lo ritrae con Chagall. Non
è per caso un fotomontaggio?
- No,
sono proprio io, giovanissimo, quasi irriconoscibile. Avevo cominciato a interessarmi
d'arte sospinto da un amico carissimo che purtroppo ci lasciò presto. Cominciai
a scrivere sul giornale e a recensire le mostre oltre a leggere i libri d'arte.
Ho ancora la collezione, anche se abbastanza scadente, dei quaderni della
Fabbri Editore. Andai con due amici pittori di Lucca a trovare Chagall a Vence,
in Provenza. Fu una delle mie prime tappe della conoscenza di artisti che si è
protratta fino ad oggi, come a quel tempo iniziò la peregrinazione attraverso i
più importanti musei d'Europa, dai fondamentali di Parigi, Londra, Madrid per
poi in seguito toccare tutte le nazioni europee fino all'Hermitage di San
Pietroburgo.
-
Qui però non siamo in Russia ma, se non sbaglio, a Urbino. Per visitare
Raffaello?
-
No, ero lì all'università per frequentare il Corso di Giornalismo. Furono tre
anni felicissimi che hanno voluto dire tanto per me. Per la mia formazione non
solo culturale ma anche umana. Imparai lì, a contatto con gente più smaliziata
di me, a viaggiare col metodo dell'autostop.
-
Già, questa ragazza che è con lei ha infatti tutto l'aspetto di una nordica.
-
Infatti, era più alta di me, ma non era svedese bensì tedesca.
-
Come, ma questo il panorama è di Stoccolma!
- Sì,
stetti a Stoccolma credo più di due mesi. Conobbi tante deliziose ragazze ma
non tutte svedesi. Le tedesche, finlandesi, norvegesi, inglesi, danesi, erano
esseri indipendenti e liberi. Un affronto per la bigotta Italia democristiana
ma una piacevole sorpresa per me.
-
Questa però non è Stoccolma e lei è vestito invernale.
-
E' stata scattata in occasione delle mie puntate in Inghilterra. Qui era in
inverno e se a Stoccolma per mantenermi avevo fatto il lavapiatti, qui, a
Londra, facevo il barman al Pizza House di Tottenham Court Road. Fui licenziato
perché litigai con un cipriota pezzente più di me che mi criticava. Anche a
Stoccolma fui licenziato dal ristorante dell'aeroporto perché avevo litigato
con due stronze italiane lavapiatti di merda di professione che avevano fatto
la spia perché mi ero assentato per fumare una sigaretta.
-
Vede che ho ragione. E' un guastatore.
-
Ma non un guastafeste,
-
E questa foto dove è ritratto come componente di una squadra di calcio?
-
Ero all'ISEF di Firenze. Si fece il campionato dell'Interfacoltà. Qui vincemmo
5-0 contro chimica. C'era gente con i coglioni quadrati, gente che giocava in
campionati importanti. In confronto a loro io facevo schifo. Infatti fu l'unica
partita che giocai.
-
Ma l'amore per lo sport come nacque?
-
Premetto che lo sport mi è sempre piaciuto e l'ho sempre praticato. Feci l'ISEF
per questo ma soprattutto per entrare nell'insegnamento che era una delle mie
passioni. Infatti ho sempre insegnato più che volentieri. Per 27 anni l'ho
fatto al Liceo Scientifico dove mi sono creato tante amicizie.
-
Infatti stavo guardando questa foto con una classe e poi questa davanti a una
serie di fotomontaggi.
-
Sì, il liceo era un ambiente piacevole. La sala degli insegnanti di educazione
fisica la trasformai ben presto, con la collaborazione dei colleghi, in un
luogo dove si ironizzava su tutto. Feci una serie di fotomontaggi che rimasero
esposti anni ed anni, carichi di autoironia.
-
Ma mi è venuta sotto gli occhi questa immagine del suo matrimonio. Voleva
nasconderla perché era in chiesa?
-
No. Vale il discorso della prima comunione. Oggi mi vergognerei e non lo
rifarei nella maniera più assoluta. Ma a quel tempo, con mia madre (purtroppo
il padre era già morto) religiosa, non potevo fare altrimenti. I matrimoni
civili se esistevano, non erano praticati da nessuno.
-
Come si sente nel ruolo di marito?
-
Ho sempre odiato i ruoli. Non mi sono sentito nel ruolo di marito, in quello di
padre e ora in quello di nonno. Credo che la vita non debba avere ruoli, ma
debba essere vissuta istintivamente il più possibile.
-
Sono tante le foto con pittori famosi e con artisti di cinema. Ha conosciuto
anche attori e registi?
-
Sì, il mestiere di giornalista mi costringeva, anche se non avessi voluto, a
conoscerli e molto spesso a intervistarli. Un famoso antiquario lucchese, Bruno
Vangelisti, che era ben introdotto nell'ambiente, riceveva spesso attori,
attrici e registi. Mi telefonava ogni volta per il servizio giornalistico. Non
è il caso di dire il nome di tutti come non dico le interviste che ho fatto a
coloro che hanno girato un film a Lucca. Le foto testimoniano solo di una parte
esigua.
-
Ho visto sfogliando l'album una foto che la ritrae dietro una macchina da
ripresa cinematografica. Cosa stava girando?
-
Un cortometraggio tratto da un mio racconto vincitore di un premio letterario e
che esaltava lo spirito semplice e solidale della gente di montagna.
-
Già. Forse lo testimonia questa altra foto con un onorevole che la premia?
-
Sì. Per tornare al corto, fu un'esperienza notevole. Lo girai con l'Arriflex,
la cinecamera della "nouvelle vague", con un mio amico che aveva
finito il corso di regia al Centro Sperimentale. Per i supporti creativi
utilizzai il fior fiore dell'intellighenzia lucchese. Per gli sfondi dei
titoli, cartelli dipinti da Possenti; per la musica il Quartetto di Lucca che a
quel tempo era una delle migliori band di jazz. Poi a Roma per i commenti
Riccardo Cucciolla, un grande attore, e per il montaggio lo studio Mafera anche
oggi uno dei più importanti. Fu una tappa, se non proficua, senz'altro
essenziale per la mia formazione cinematografica sul campo.
-
Insomma arte e cinema. Interessi che perdurano. E le donne dove le mettiamo?
-
La donna, perché qui è meglio parlare al singolare, è stata sempre fondamentale
nella mia vita. Al di sopra di tutto. A volte, scherzando, dico che sono
"naturalmente" femminista perché io amo le donne.
-
Non vogliamo essere indiscreti e sorvoliamo su certe foto. Ma in fatto di
politica come la mettiamo?
-
Fossi capace di guardarmi a lungo interiormente ne trarrei l'amara conclusione
che la politica mi fa schifo.
-
Non sarà un grillino....
-
No assolutamente. Il qualunquismo non mi è mai piaciuto. Non mi ha fatto finire
il discorso perché continuando volevo dire che però una posizione bisogna
prenderla, pur sapendo che la politica è l'arte del compromesso e a me il
compromesso non è mai piaciuto. Allora
si sceglie fra i "meno peggio", quelli che ci promettono, magari con
poca speranza di mantenere, giustizia, uguaglianza, solidarietà, freno ai
grandi capitali finanziari che comandano il mondo, uno Stato forte che sappia
intervenire sul privato quando è il momento. Io comunque non sono stato mai
iscritto a nessun partito.
-
Perché? un partito l'avrebbe trovato che potesse portare avanti le sue idee.
-
Il partito è come una chiesa. Non ti lascia libertà di pensare, devi seguire
certi canoni come i famosi misteri della chiesa che ti fanno incazzare perché
capisci che, di fronte a cose che non si possono spiegare, pretendono che tu ti
rifugi nel mistero. Ma per fortuna c'è la scienza che va molto più lontano.
-
Lei è un'illuminista?
-
Sono quello che sono. Non mi piacciono le etichette.
-
E dei libri, cosa mi dice? Fra poco saremo all'undicesimo.
-
E' una mia vecchia passione anche questa. Ci manca che con così tante passioni
mi facciano passare per passionale. Sì, amo scrivere e lo scritto mi serve,
oltre che per divertirmi, anche come seduta psicanalitica. Con quelli riesco a
sviscerare tutto me stesso. Contrariamente a ciò che si pensa, non impiego
molto tempo per scrivere. Odio farlo di giorno perciò scrivo prevalentemente di
notte quando non c'è nessuno a rompermi i coglioni, quando non ho altri impegni
e quando ne ho voglia. Mi dà molta soddisfazione e ho trovato per fortuna un
editore coraggioso che mi ha dato spazio.
-
Lo chiamano il Bukowski della Toscana.
-
Sì, in effetti ho scoperto Bukowski quando nessuno lo conosceva e mi ci
appassionai. E' un grande. Ma credo che io possa essere avvicinato anche a John
Fante. E poi i miei libri variano nello stile, non sono tutti uguali. Il più
bukowskiani sono senz'altro quelli della trilogia su Casa Balboa. Uno è stato
tradotto con successo anche in Francia. Poi ho anche due saggi d'arte che credo
non siano male.
-
Continuiamo a sfogliare l'album. Siamo solo a metà.
-
Senta, non ho più voglia di parlare di me. Semmai un'altra volta. Nell'album ci
lasci un segno dato che non ci può fare gli orecchi d'asino. Parliamo invece di
lei. Non si vuole scoprire? Come ha fatto a inserirsi così bene nella tv? Per
caso è anche lei un raccomandato?
-
Lasciamo perdere. Metto il segno e ci vediamo un'altra volta. La saluto e a
presto.
-
A presto Marzullo.
-
Ma non sono Marzullo. Sono solo un sosia.
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