Durante
gli studi, ci chiedevamo spesso che effetto avrà fatto la Divina Commedia
tradotta in inglese. Quale fine faceva la poesia di Dante, le sue terzine
incatenate di versi endecasillabi, lo stile, la rappresentazione drammatica
della realtà, l'ispirazione trascendente, insomma tutto quanto scaturiva dalla
sua poesia in volgare fiorentino? Tutto dipendeva anche dai traduttori,
certamente, ma è assodato che l'originale è un'altra cosa. Ora, per ragioni
esclusivamente economiche, per far vendere libri, è venuto di moda
"tradurre" anche i testi italiani antichi come il Decamerone del
Boccaccio. E poi sarà la volta del Machiavelli, del Tasso, del Manzoni, del
Foscolo e così via. Non che sia un sacrilegio, ma quasi. Le ragioni che
apparentemente si adducono, cioè quelle di rendere leggibile a tutti un'opera
destinata a pochi, non reggono. Sarebbe meglio dire con sincerità che così
facendo, cioè tradurre l'italiano in italiano, specie per opere come Il
Decamerone (tradotto da Aldo Busi) divertenti e scollacciate, si va incontro a
decine o centinaia di migliaia di lettori che costituiscono un introito non
indifferente per la casa editrice. Penso con terrore a quando, per renderla
capibile agli ignoranti, si tradurrà anche la poesia ermetica come quella di
Ungaretti.
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